domenica 19 settembre 2010

Le fate della pietra

Soffia vento soffia. Corri tra le valli e le montagne, non fermarti. Di noi porta il soffio di un tempo lontano, lontano quanto la pietra e il sonno del tempo, di un tempo che ormai non ricorda più chi siamo. Eravamo là con loro quando tutto accadde, quando la pioggia solcò i loro visi. Non aspettare oltre amico nostro, il tempo non può attendere, noi non possiamo attendere. Devi raccontare il tempo con le parole che nel tempo hai saputo ritrovare, per aiutare la memoria a ricordare. Soffia vento soffia.
- Mai! - disse la nonna - Mai dovete avvicinarvi alle pietre che vi guardano!
- Ma perché nonna? - chiesero incuriositi i nipoti - sono solo buchi nella montagna…
- No! Dietro quei buchi si nascondono delle creature malvagie!
- Malvagie?! - ripeterono con curioso spavento i bambini.
- Si! - tuonò l’anziana donna - sono vecchie, molto più di me!
- Ma questo è impossibile!!! - dissero i bambini sogghignanti.
- E invece si! Sono vecchie e brutte! Dovete sapere che la notte, vicino alle montagne dove vostro padre porta al pascolo il gregge, si sentono gridare e lamentare! Alcuni sostengono di averle sentite anche di giorno!
I bambini spaventati si strinsero fra loro.
-         Passano tutto il tempo a gridare e gridare! Con le loro lunghe unghie graffiano le pareti delle loro case! Aspettando solo che un bambino si avvicini per mangiargli l’anima!
I bambini ammutoliti avevano gli occhi rischiarati dalle prime lacrime.
-         E voi sapete di chi è la vostra anima vero? E’ di nostro Signore Gesù Cristo e voi dovete proteggerla.
Gavino, il più piccolo dei due, singhiozzando cominciò a piangere.
-         Mamma! -  gridò il piccolo - Mamma!
La madre si asciugò le mani sul grembiule di tela, sfilò il fazzoletto dalla manica, lo porse al figlio e si rivolse alla madre.
-          Ma mamma! Ti sembrano storie da raccontare ai bambini prima che vadano a letto? Povere creature spaventarle in questo modo!
-         Io non spavento nessuno! Voglio solo metterli in guardia, è bene che crescano consci di ciò che può accadere.
Gavino in lacrime guardò la madre e chiese:
-         Sono vere le storie che racconta la nonna?
-         Ma no figlio mio… - sospirò - no figlio mio la nonna scherzava, vero mamma?! - domandava con sguardo minaccioso.
-         Ha ragione la mamma Gavino, stavo solo scherzando, è come dice la mamma, tutte storie… nient’altro che storie…
In quel momento dal cortile il cane cominciò ad abbaiare. Bacchisio, il primo dei due bambini, corse alla porta.
-         Babbo babbo! Babbo è tornato!
L’uomo aprì le braccia e ne accolse il figlio. Stanco dai mesi al pascolo, il genitore si fece scortare dal piccolo Bacchisio in casa.
-         Ilune! Sono a casa! - diceva alla moglie.
-         Antioco, sei a casa finalmente!
Gavino, liberatosi dal consolante abbraccio della madre, saltò in quello  del padre, felice come solo un figlio alla vista del padre può essere.
Antioco baciò la moglie e con sguardo riconoscente salutò la suocera che, con un sorriso, contraccambiò.
Antioco era un uomo buono, dedito alla famiglia e al lavoro come pochi altri.
-         Antioco, ti ho preparato il bagno.
-         Sei un tesoro moglie mia! - così dicendo l’abbracciò e la sollevò in aria, suscitando lo stupore dei figli e le risa della suocera.
-         Babbo! Sei forte!
-         Ma no Bacchisio - diceva ridendo - è la mamma leggerissima.
Il bagno e la cena trascosero tranquillamente tra risa e storie.
-         Beh, adesso il babbo va a riposarsi a letto… uno vero, mica finto come quelli in montagna sapete - rise.
Ilune con un’occhiata comunicò qualcosa alla madre, la quale pronta disse:
-         Bene nipotini miei, è ora di andare a letto.
-         Ma nonna Serena! Io voglio stare ad ascoltare le storie del babbo!
-         Bacchisio, è tardi! Domani il babbo deve svegliarsi presto lo sai, e poi guarda tuo fratello - il quale dormiva profondamente in braccio alla nonna.
-         Ma non voglio…
-         Ubbidisci alla nonna - disse Ilune.
-         Facciamo un gioco stanotte, va bene? - disse Serena - Stanotte dormirete nel lettone con la nonna, va bene?
Bacchisio rimase a bocca aperta mentre Gavino, il fratellino, si svegliò di soprassalto incredulo.
-         Dici davvero nonna?!
-         Certo piccoli miei - sorrise.
A quel sorriso i due bimbi corsero nella camera della nonna a saltare sul lettone.
-         Povero il mio letto… - sospirò l’anziana donna.
Con riconoscenza Antioco e Ilune augurarono la buona notte e lasciarono la stanza da pranzo per la camera da letto, chiudendo a chiave la porta alle loro spalle.
Dopo diversi tentativi Serena riuscì a far terminare la nottata di festa dei bambini, che stremati, accompagnarono la nonna in un sonno profondo.
Il gallo la mattina non cantò.
-         Bacchisio… Bacchisio sveglia…
-         … mmm… si… chi è?...
-         Sono io, babbo.
-         Si babbo… dimmi… - rispondeva il figlio assonnato.
-         Volevo sapere se ti andrebbe di portare al pascolo qualcuna delle pecore di babbo.
Il piccolo Bacchisio sgranò gli occhi, convinto ancora di star sognando…
-         … ma babbo… dici davvero?
-         Certo figlio mio - disse sorridendo - oramai sei grande, hai già otto anni ed è bene che cominci a capire come ci si comporta con le pecore e poi la mamma è d’accordo.
Il piccolo Bacchisio, incredulo di tanta fiducia, si gettò fuori dal letto e, come un militare al suono della tromba, fu pronto per la missione.
Corse immediatamente verso la camera da pranzo, dove la mamma e la nonna  avevano già preparato la colazione per Bacchisio, il nuovo pastore del paese. Si versò il latte nella sua ciottola di legno, ma questa volta per la prima volta, lo fece da solo, con grande stupore delle donne di casa.
-         Bacchisio - domandava la nonna - vedo che oggi sei diventato grande, giusto?
-         Si nonna! - disse trionfante il bambino.
-         Quindi possiamo già considerarti un ometto, esatto?
-         Certo nonna!
-         Allora potresti andare al pascolo insieme con tuo fratello, giusto? - disse la madre senza allontanare lo sguardo dal lavabo.
-         Cosa? Ma mamma! - piagnucolava l’ometto di casa.
-         Se vuoi andare al pascolo porta anche tuo fratello, punto - concluse Ilune.
-         Ma Nonna! - disse rivolgendo lo sguardo alla nonna.
-         Hai sentito cosa ha detto tua madre? - disse Serena.
-         Ma babbo! - disse rivolgendo lo sguardo al padre.
-         Figlio mio, fai quello che dice tua madre su…
Sbuffando come una caffettiera andò a svegliare il fratello.
I due bambini si prepararono, presero il pranzo e a capo del loro piccolo gregge si incamminarono verso il pascolo.
Ilune pensierosa si rivolse ad Antioco:
-         Avremo fatto bene a lasciarli andare?
-         Ma si cara, Bacchisio è un ragazzo responsabile, vedrai andrà tutto bene, e poi sanno tutto quello che devono sapere perché tutto vada come deve andare.
La nonna preoccupata aggiunse:
-         Le montagne piccoli miei… le montagne…
Così dicendo li vide scomparire lontano.
Il cielo era poco sereno quel giorno, non si sentiva cinguettare e tanto meno le pecore belare. Solo il vento continuava a soffiare, trasportando con se nuvole pesanti da luoghi lontani. Ma questo non poteva fermare il piccolo nuovo pastore del paese.
Spiga in bocca e sguardo da condottiero, Bacchisio, il nuovo pastore del paese, era convinto di portare in salvo quattro dame bianche fra mille pericoli e mosche Maccedda, fino a quando, a ricordagli che si trattava di solo quattro pecore, ci pensava il fratellino.
-         Bacchisio aspettami… - gridava il piccolo Gavino che a stento riusciva a seguire il fratello.
-         Muoviti lumaca! - sbottava Bacchisio - dobbiamo muoverci, il tempo sta peggiorando!
-         Ho paura! E poi mi sembra che qualcuno ci stia chiamando! Magari è la mamma!
-         Ma che dici scemo! Siamo lontani ormai, sarà il vento! Ma ti muovi?!
Tra una corsa e una caduta il piccolo Gavino trotterellava fino a raggiungere il fratello, che però gli impediva di farsi prendere per mano. Le nuvole avanzavano cupe e pesanti all’orizzonte. Il vento sollevava le foglie cadute dei pochi alberi della campagna, fino a quando una dopo l’altra le gocce cominciarono a cadere.
-         Bacchisio piove!
-         Certo piccolo stupido! Hai visto il cielo? Dobbiamo ripararci!
I tuoni cominciarono a farsi spazio nella paura del più piccolo.
-         Bacchisio, ho paura!
-         Ma puoi essere scemo? Sono solo dei fulmini! Dobbiamo ripararci. Andiamo sotto quell’albero laggiù.
-         Bacchisio no! Il babbo dice sempre che dobbiamo star lontani dagli alberi quando piove, dice che potrebbe colpirci un fulmine.
-         Ma quanto sei piagnucoloso. Allora ripariamoci là, vicino a quelle rocce - disse indicando la montagna.
Le pecore si erano già riparate all’interno di alcuni folti cespugli, come se fossero consce dell’inesperienza dei due fratelli.
I due si avvicinarono alle rocce della montagna. Fradici come stracci si ripararono sotto alcune sporgenze della roccia. Il vento era forte e la roccia era mangiata dal tempo, rovinata e umida, solo il soffio tra le foglie e la pioggia battente scandivano il passare delle ore.
-         Bacchisio… cosa sono quelle finestre? - domandò con voce tremula Gavino.
-         Ma Gavino! Non ti ricordi? Sono le case delle creature vecchie e malvagie che mangiano le anime dei bambini!!!
A queste parole Bacchisio urlò di paura.
-         Sei cattivo! - disse fra le lacrime.
-         E tu sei un fifone!
Il vento s’intensificava e la pioggia, accompagnata da qualche tuono, cadeva incessante.
-         Bacchisio…
-         Cosa vuoi ancora?!
-         Non hai sentito niente?
-         No scemo… ti ho già detto che non sento niente! Solo la pioggia, i tuoni e il belare delle pecore… ma… non belano più le pecore?
Le pecore non belavano più, erano lì fra i cespugli zitte e immobili come pietre.
-         Bacchisio… torniamo a casa…
-         Ma sei scemo mi! Non voglio tornare a casa! Cosa penserà babbo poi? Sei solo un fifone piagnucolone!
-         Non sono un fifone!
-         A no?
-         No!
-         Allora entra in una di quei buchi quadrati nella pietra!
-         Ma Bacchisio…
-         Fifone fifone fifone!
Gavino guardò il fratello come se avesse la paura scritta sulla fronte. Il piccolo Gavino sgranò gli occhi e si girò di scatto, in direzione di una roccia e domandò al fratello:
-         Bacchisio hai sentito adesso?!
-         Ma smettila! E’ solo il vento! E adesso entra in uno di quei buchi! Fifone!
-         Non sono fifone… ma io non voglio entrare! La nonna ha detto di non avvicinarci mai! Non è possibile che non senti! Qualcuno sta urlando!
-         Io non sento niente scemo! - dicendo questo afferrò il fratello per un braccio e lo spinse all’interno di uno dei pertugi, facendolo cadere.
-         Ahi! Sei scemo Bacchisio!?
-         Fifione! Come si sta là in fondo?
-         Fammi uscire! Qui è tutto buio! E stanno urlando! Urlano! Ti prego Bacchisio aiutami! - nel mentre si portò le mani alle orecchie, quasi volesse evitare di sentire ciò che per Bacchisio era silenzio.
Bacchisio rise del fratello, fino a che non si accorse della fuga di una delle pecore.
-         Gavino aspettami qui torno subito!
-         Bacchisio no! Non lasciarmi qui! No! - gridò senza convincerlo.
Correva il piccolo Bacchisio incurante dei sassi e della pioggia insistente, cercando di raggiungere l’animale che il padre gli aveva affidato. Era veloce la pecora, ma anche Bacchisio lo era e pochi passi separavano i due. L’animale brucava sereno e Bacchisio, imitando il gatto di casa, si acquattò tentando l’aguato. Contava sottovoce:
-         … tre… due… uno…
Il vento, per qualche istante, si levò trasportando foglie e pioggia. Bacchisio, liberandosi il viso bagnato dalle foglie si guardò intorno, notando sull’erba la pecora distesa. Bacchisio si avvicinò e la controllò, era morta. Il piccolo si voltò improvvisamente e gridò:
-         Chi è?! Chi mi sta chiamando?!
Si guardava attorno senza individuare nessuno.
-         Gavino sei tu? Odio questi scherzi! Lo sai! Se la pianti vengo a tirarti fuori, va bene? - così dicendo si recò alle rocce della montagna.
La pioggia non cessava la sua caduta, raggiunse il buco nella roccia dove aveva spinto per gioco il fratello.
-         Gavino? Ci sei?
Solo l’eco rispondeva a quelle domande.
-         Gavino! - urlò agitato il piccolo Bacchisio - Ti ho detto di smettere con questo scherzo! Lo dico alla mamma! Anzi alla nonna! No! Al babbo! Gavino… ti prego… lo sai che ti voglio bene… adesso mi stai facendo paura…vieni fuori!
Ma nulla. Bacchisio alzò di colpo la testa e disse:
-         Chi sta urlando! Smettetela di urlare! - così dicendo si tappò le orecchie - Gavino sei qui?
L’apertura era buia e profonda. Lentamente e con un terrore assoluto, infilò la testa nell’apertura dove Gavino era rinchiuso. Un fulmine illuminò per alcuni istanti lo spazio. In un angolo, lontano dall’apertura intravide una sagoma. Altri fulmini, altri lampi si susseguirono a poca distanza l’uno dall’altro, illuminando la camera. Doveva essere Gavino!
-         Gavino presto vieni ti tiro fuori!
Gavino non rispose.
-         Ma Gavino che fai? Presto! Dobbiamo tornare! Sta piovendo troppo! Ma Gavino… che fai?...
La sagoma fissava a capo chino la parete mentre con una mano grattava la pietra.
-         Gavino smettila! - Bacchisio si strinse le mani alle orecchie - Basta urla! Basta!!!
In quel momento Gavino smise di grattare la parete e cadde al suolo.
-         Gavino! - urlò Bacchisio - No! Non voglio venire con voi! Non voglio!
Spaventato si tirò indietro. Un dolore lancinante gli stringeva il petto.
Bacchisio corse, corse con quanto fiato avesse in corpo, corse verso casa. Gridava il piccolo pastore, fino a mancargli il fiato.
La porta di casa si aprì, mostrando il volto della nonna.
-         Nonna! Nonna!
L’anziana donna corse sotto la pioggia in contro al nipote.
-         Bacchisio! Cos’è successo! Stai sanguinando! Cosa sono questi tagli che hai sul petto?
Solo in quel momento Bacchisio si accorse dei tagli che aveva sul petto, cinque erano, come le unghie di una mano. La nonna afferrò il bambino per le spalle, scuotendolo.
-         Non siete andati verso la montagna vero Bacchisio? Rispondimi!
Con le mani ancora a coprire le orecchie ascoltava impietrito.
-         Dov’è tuo fratello!? Bacchisio rispondimi! Dov’è tuo fratello!? - insisteva la donna - Non l’hai abbandonato in uno di quei buchi sulla montagna?!
Solo una parola pronunciò:
-         … si…
La donna lasciò il bambino, incredula per quell’unica parola. Fissò il nipote come se non fosse più tale e Bacchisio arretrò, spaventato da uno sguardo non più familiare e corse, corse lontano. L’anziana donna, non più nonna, non lo fermò e lo vide sparire   per non vederlo più tornare. La pioggia cadeva triste sul volto dell’anziana nonna, sola fra le piante del cortile. Corse lontano il piccolo Bacchisio e solo il vento l’accompagnava accanto.
Soffia vento soffia. Fummo con loro in quei momenti, sempre. Hai permesso al tempo di ritrovare la memoria persa. Grazie amico nostro, grazie a te ora esistiamo di nuovo.

Fine 

Il respiro del bambù e l'amico fiume

Nulla più ricorda ciò che ricordo io, nulla sente ciò che sento io, nemmeno io riesco a farlo, so solo che il mio cuore può farlo. Quando il vento danza fra le canne, il bambù sospira, respira, parla, porta alla mente i sogni lontani di un’infanzia scordata. Le foglie volano alte nel cielo come già facevano tempo addietro, i pesci nuotano come facevano in passato, qui nulla è cambiato, nemmeno io, ormai sola fra le dolci nebbie del bosco di bambù.
La nonna tutte le mattine andava al fiume, lavava i panni e li stendeva al sole con una immutabilità, che solo adesso, che lei non c’è più, riesco a percepire. Una immutabilità che si può percepire solo nel tempo in cui una foglia cade, o nel tempo in cui un pesce guizza fuori dall’acqua, percepibile solo nel presente, quel presente più piccolo che si possa immaginare, che quando lo afferri ormai è già passato.
La nonna viveva qui, in questa immutabilità inesistente, ma reale. Ero solo un'anima triste, non potevo certo sapere e non potevo certo immaginare che il tempo passa e l’immutabilità delle cose è solo una reale illusione spesso tangibile. Il bambù continua a esserci, il fiume continua a scorrere e i pesci continuano a saltare…sono sola fra le dolci nebbie del bosco di bambù. Giocare non era certo la mia vita, non ero abituata a perdere tempo. La nonna diceva sempre che non si vive di soli giochi, ma anche di lavoro. Diceva sempre che c’è un tempo per giocare e uno per lavorare. Quindi, senza troppi rimpianti, aiutavo la nonna nei suoi lavori. Lavavo i panni, pulivo la casa, raccoglievo la legna, cucinavo con la nonna, che a dire il vero lavorava molto più di me. Era sempre gentile con me. Ricordo che un giorno mi regalò una bambola. Era molto bella. La nonna l’aveva fatta per me con i resti delle stoffe con la quale confezionava gli abiti per i clienti. Nonna era una sarta molto abile. Era brava. Venivano anche dal villaggio ai piedi del monte per avere uno dei suoi capi, ma non vennero più dopo che nacqui. Piccola stella mi chiamava, nome che diedi alla mia bambola, piccola stella la chiamai. La notte era senza incubi. La nonna era sempre con me la notte. Diceva sempre che la notte non deve essermi nemica, ma che devo esserle amica. La notte è sorella del giorno, tutto quello che c’è di giorno c’è di notte, non devo temerla. I soldi erano pochi, ma non era un problema per noi, tanto bastava solo mangiar meno oggi, per poter mangiare anche domani. Il fiume era nostro amico. I pesci ci erano amici, non fuggivano al mio arrivo, anzi mi accoglievano fra loro. I miei amici del fiume. Anche loro mi erano amici e la nonna lo sapeva. I bambini invece erano cattivi, non mi volevano con loro, non capivano nulla. Stupidi. Credevano di essere i padroni del bosco di bambù, quando invece erano solo dei poveri sciocchi. Ma l’estate non lì perdonò. L’estate era rovente, calda e assonnata. Il mio amico fiume non voleva che io soffrissi a causa delle loro cattiverie. No, non voleva. Le acque erano invitanti, fresche e cristalline. Poveri stupidi, il fiume è mio amico...non loro. Scomparvero uno dopo l’altro quei poveri stupidi, il mio amico fiume è un amico vero, lui si che mi vuole bene, era come la nonna, buono. La nonna era buona con me e non voleva che io fossi triste, mi diceva sempre che prima o poi lei sarebbe andata via per molto tempo e che io mi sarei dovuta rimboccare le maniche per crescere da sola. Io non voglio crescere da sola. Dicevo sempre alla nonna che lei non poteva lasciarmi sola e che mai mi avrebbe lasciata. Al villaggio dicevano sempre che la nonna era cattiva, ma non è vero, la nonna è buona dicevo io. Dicevano sempre che io ero figlia della notte, ma non era vero. Dicevano sempre che ci avrebbero cacciate. La nonna era buona, loro no. Il mio amico fiume dice sempre che mi aiuterà, anche i miei amici pesci lo dicono. Povero villaggio, sommerso dalle acque in piena estate, poveri stupidi. Ora nessuno ci dice nulla. La nonna era felice e anche io lo ero. Mi diceva piccola stella tutto cambia, nulla è immutabile. Ma io non volevo cambiare, la nonna non doveva cambiare. Io non volevo che cambiasse. Il mio amico fiume mi vuole bene. La nonna mente, non mi vuole bene. Il mio amico fiume lo sa. Le solite faccende sono immutabili nel tempo e il fiume lo sa. Lavare i panni è un fatto quotidiano, fino a che il fiume decide di abbracciarti. Povera nonna. Scomparve anche lei fra le braccia del fiume. Povera stupida nonna. Piccola stella mi chiamava. Avevo ragione, tutto è immutabile. Il bambù continuerà a esserci, il fiume continuerà a scorrere e i pesci continueranno a saltare, mentre io, sola, rimarrò qui fra i ricordi di un bosco di bambù.

Fine


Gridalo alle stelle

Qualunque cosa accada il Sole sorgerà anche domani e tutto si risolverà. Così diceva il nonno. Non so se raccontasse queste cose solo per far dormire un pestifero bambinello come me… mi manca…
Non sono il solo qua sotto, nemmeno in due e neppure in dieci… ma centinaia di uomini che, in cambio della loro libertà, hanno donato la vita per nutrire l’insaziabile fame di carbone della Queen Elisabeth, il vascello a Vapore di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra.

Scandita dalle badilate di carbone, la mia vita scorre lenta e pesante nello stomaco della Regina a Vapore. Più di mille piedi di lunghezza, più di mille valvole spingono il battello lungo le acque dei cieli di Londra.
Varata alla fine del 1800, circa 10 anni fa, è considerata un capolavoro della Meccanica del Vapore!
Si vocifera che sia un onore lavorare qui, ma solo se si ricopre il ruolo di Ammiraglio di Vascello.
-Ma che diamine combinano quei bifolchi in sala macchine!? Si può sapere!? Più carbone! Più carbone ho detto!
Se invece non lo sei la vita è dura, soprattutto se lavori da tizzone …

-Ahhh! Non lo sopporto più quell'uomo! Si lamenta sempre per qualunque cosa! Lo detesto!!!

Una dopo l’altra le pale di carbone sospingono quelle del vaporetto. L’aria è torbida e grave, il fumo nero e denso che fuoriesce dalla caldaia pèrmea la poca aria respirabile…è da tanto ormai che non mi causa più fastidi. Il frastuono è assordante e a malapena riesco a concepire un pensiero senza le moleste macchine nel cervello. Il vapore fischia fuori da migliaia di bocche roventi o sbuffa umido e tiepido da sfiatatoi sul pavimento, il caldo è insopportabile… ma a questo punto fa parte di me, credo che ne sentirei la mancanza. L’unica luce è quella che sprizza dalla caldaia, che timida e silenziosa saltella in sala macchine.
-Se ne sta comodo e sereno sopra coperta l’Ammiraglio! Non ha mica tutti i problemi che abbiamo noi qua sotto! O mi sbaglio?
-Stai buono brutta linguaccia di un ergastolano! è da un po’ che lavori a bordo della Regina a Vapore e ancora ti permetti di dire queste cose ad alta voce? Ricorda che quell’uomo non è una persona che dimentica… 
-… ehm… si… hai ragione… lo so… 
-Ricordi quando sul ponte di prua facevi il “Don Giovanni” con la figlioletta dell’Ammiraglio?

-…ma…ma adesso che c’entra quella storia lì!? Non voglio nemmeno ricordarla, però…

…era una sera fresca…la luna era scura e solo le stelle proiettavano ombre…le soavi vesti alle brezze del mare schioccavano come vele al vento e lei era lì, sola a osservare la notte splendente… e come un gatto fa con una farfalla, pareva volesse afferrare le stelle… le mani sul corrimano leggere e delicate accarezzavano le braccia nel tentativo di scaldarsi… gli occhi blu profondi come le stelle che li rischiaravano, di tanto in tanto sembravano scorgermi. Io invece… rannicchiato in un buio angolo, solo e sporco come un topo di cambusa, all’ombra rimanevo a osservarla conscio del fatto che solo il carbone potrò far ardere… non certo il suo cuore… ma prima o poi anche per me tutto questo cesserà… lo spero… e comunque, qualunque cosa accada, il Sole sorgerà anche domani…
-Ehi! Ragazzino! Ti sei imbambolato?! Continua a spalare!
-… eh?… Cosa?
-Dico a te! Devi essere proprio cotto di quella! Sai almeno come si chiama?
-… ehm… no…
-… no?… NO?! E già sei cotto di una di cui non conosci nemmeno il nome?
-… in realtà… so qualcosa…  mmm… cosa?
-… ehm… ecco… mi ha regalato il suo fazzoletto…
… era blu, caldo come i suoi occhi, la sua pelle era chiara e pareva delicata come la nebbia al mattino, il mio cuore palpitava come un cavallo al galoppo, le sue labbra parevano morbide e poco dopo… parlarono…
-E tu chi sei?
-… ehm… io?
-Si tu… nascosto nell’ombra… chi sei?
-… beh… io… io sono… cioè… lavoro come tizzone… al Suo servizio Signorina… ehm…
-Eh eh eh… capisco. Sei uno di quelli che stanno in sala macchine, giusto?
-… si… lavoro nello stomaco della Regina a Vapore…
-“Regina”cosa? Nello “stomaco” di chi?
-… ehm… intendevo la Queen Elizabeth, vascello a Vapore di Sua Maestà la Regina d’Inghilterra… Signorina…
-… chiamate così la nave di Sua Maestà? Regina a Vapore?!
-… no… cioè si… insomma… nel senso che… ehm…
-…eh eh eh! Molto divertente! Eh eh eh…
-… da… davvero?…
-Si si!
-…ne sono felice…
-Mmm… prima di tutto esci dal buio… e fammi vedere un po’ il tuo viso… ti va?
-…come vuole…Signorina…
… lentamente uscii dall’oscurità, mostrandomi a lei …
-… eccomi… Signorina…
-mmm… saresti anche carino se ti si vedesse il viso, ma sei tutto nero di fuliggine, sembri un gattino tutto sporco…
… che imbarazzo… era sorridente… afferrò un fazzoletto blu e con una delicatezza che solo una madre sa donare… cominciò a ripulirmi il viso… poi lentamente smise…fissò i miei occhi… scavò nel mio cuore… mi accarezzò una mano e parlò…

-… i tuoi occhi… sono verdi…
… era la prima volta che qualcuno notava i miei occhi da quando presi servizio in sala macchine… nessuno… nessuno se ne accorgeva mai…
-… un verde così sincero… sono bellissimi…
-… anche i Suoi lo sono… Signorina…
… sorrise…
-Ecco, prendi questo fazzoletto… è un regalo. Lo vuoi?
-… ce… certo… grazie… lo conserverò con cura… ma queste lettere, sono le Sue iniziali Signorina? B T… 
-eh eh eh…Si.
… era la prima volta che qualcuno notava i miei occhi…

-Ehi Ragazzino?!
-… si… dimmi…
-Allora è una cosa seria?
-Ma no… ma che dici… Dai, continua a spalare!
Al frastuono delle valvole, la notte passò vigile e chiassosa.
Il mattino seguente ripartì come il precedente, ieri cominciò come il giorno prima, e così via discorrendo. Ogni giorno è scandito dai medesimi rituali. Da sopra coperta viene scaricato nello stomaco della Regina a Vapore il mangime per noi tizzoni: ossa, pesce avariato, bucce di frutta e qualche scarto di verdura… non è il massimo lo so, ma è quello che passa il convento… ed è sempre meglio mangiare spazzatura, piuttosto che essere incorniciato da quattro mura di lamiera corrose dai tormenti in un carcere puzzolente.
Da qualche mese mi trovo a sopravvivere in mezzo ai cieli d’acqua, spaccando ossa per estrarne il midollo, masticando bucce di arancia o raschiando croste di formaggio…se continua in questo modo credo che morirò… già altri se ne sono andati…ridotti in ammassi di ossa malate hanno nutrito per l’ultima volta la Regina a Vapore, gli hanno dato letteralmente l’anima… e il corpo. Di tanto in tanto veniamo lavati… a vapore s’intende. Non è doloroso, l’importante è rimanere nel mezzo della folla, mentre dalle pareti d’acciaio il vapore bollente viene evacuato sugli ignari tizzoni appena arrivati, che a decine cadono ogni giorno… ma questo non lo sai prima di salire a bordo… un po’ mi mancano quelle quattro mura di latta arrugginita.
A volte l’Ammiraglio Tudon decide di passare in rassegna tutti i tizzoni, e in quei momenti rimpiangi quelle quattro pareti di latta arrugginita. Passa serio e fiero come la divisa che porta. La gamba meccanica che indossa rende riconoscibile il suo passo, netto e secco come un martello su di un’incudine.
A ogni passo uno sguardo si abbassa. A ogni passo una lacrima solca un viso. A ogni passo un cuore si ferma… puoi solo sperare che il Sole sorga anche domani… e che tu possa vederlo.
Come un tuono in una tempesta, il suo passo lento e pesante scandisce i secondi che separano noi tizzoni dal giro di chiglia… ma sembra non essere la mia volta… già… questa volta no. La sua gamba sinistra non è umana. Piccoli tubi e sfiatatoi fuoriescono dalla solenne divisa, e ogni passo è seguito da un botto di vapore che prepara l’arto al passo successivo. Lo sguardo era rovente come la caldaia della Regina a Vapore, ma nessuno osava sfiorarlo… me incluso.
-Voi!!! Carcasse insulse! Ho bisogno di un volontario!
È la prima volta che sento l’Ammiraglio chiedere qualcosa… e non ordinare… e questo non mi piace…
-Uno di voi deve gettarsi in mare...
Ero atterrito dal pensiero…perché chiedeva qualcosa alla feccia?… perché?
-Come avrete già potuto notare, non sono solo. La persona che si trova al mio fianco…
Solo dopo le sue parole ci accorgemmo che non era solo. Oltre alle guardie era accompagnato da una sagoma umana, frenetica nel pedinare i piedi dell’Ammiraglio. Magrissimo, pronto quasi per essere rosicchiato dai topi. Indossava un serissimo gessato scuro, pantaloni in cotone neri e giacca nera a collo alto, delle scarpe di vernice nera che forse prima di scendere nello stomaco della Regina, dovevano essere lucide. I capelli erano lisci sul capo a incorniciare un viso secco e sgradevole, nascosto quest’ultimo da un monocolo impiantato nell’orbita e ovviamente azionato a vapore. Ogni suo sguardo era seguito da dei piccoli sbuffi di vapore provenienti dal piccolo monocolo, finalizzati alla messa a fuoco delle immagini. La mano umida e tremolante a sostegno di un candido fazzoletto avorio, proteggeva la bocca, quasi a voler evitare la nostra aria.
-… lui è il dottor Dengalmes, si occupa della salute di mia figlia. Prego Dottore parli pure.
Tutti tacquero diligentemente.
Una vocina stridula e irritante, segnata da un’evidente nota di disagio, cominciò a squittire qualcosa di amaro, raschiando attenzione dalle orecchie dei tizzoni.

-… ehm… buona sera signori spalatori… ehm… io sono il dottor Dengalmes…ehm…come avrete di certo già udito dalla più che superba voce dell’Ammiraglio Tudon, io mi occupo della salute della Signorina figlia dell’Ammiraglio…sono qui per riferirvi che la Signorina è molto malata…
Non può essere vero…
-…la malattia è molto grave…ehm…ogni minuto che passa la Signorina soffre sempre più…e noi non possiamo fare più niente…
Mi sento male… non è possibile… perché? Perché? Non voglio che stia male!
-… abbiamo perciò bisogno che uno di voi si offra volontario e che procuri la medicina adatta… tuttavia… ehm… nonostante si tratti di un rimedio miracoloso… ehm… se non verrà procurato in tempo…
Sono in affanno… a malapena… riesco a pensare… è così innocente e bella… perché Lei?… non so nemmeno il Suo nome…
-… ehm… non crediamo che la Signorina possa sopravvivere oltre la notte di domani…

Stringo forte il fazzoletto blu…non riesco neppure a riflettere…il mio cuore ha bisogno di sfogare il mio malessere…
-No!!!

Gli sguardi si fecero intensi su di me. Abbandonato fra centinaia di estranei, sentii il silenzio urlare il mio nome, il mio cuore sussultare e la mia pelle sudare…

-Tu… piccolo essere senza dignità alcuna… come ti permetti di interrompere il dottor Dengalmes?
-… sce… scelga me…
-Taci stupido!
E così dicendo uno schiaffo, rapido e doloroso come lo sguardo dell’Ammiraglio, mi scaraventò su di uno sfiato rovente.
La luce è scura… il buio è dolce… va bene, mi lascio andare… mentre i ricordi scalciano nella mente…
-… B T… mmm… su mi dica come si chiama Signorina!
-Eh eh eh. E no giovane tizzone! Dovrai scoprirlo.
-… mmm… vediamo… T significa Tudons?
-Esatto… ma era facile… sono la figlia di mio padre eh eh eh.
-… ma B per cosa starà?… Barbara?
-… mmm… no.
-… allora… Bianca?
-Eh eh eh. No no!
-Dai me lo dica Signorina, la prego…
-E no! Ti farò soffrire eh eh eh. Tu piuttosto, come ti chiami?
-No no no. Io sono un ragazzo orgoglioso. Non cederò mai! Prima Lei.

L’aria soffiava sonnolenta e fresca fra gli astri svegli… che bella sensazione… la Regina a Vapore sbuffava come di abitudine per ore intere durante la notte… le trenta ciminiere russavano pigramente al cielo…
-Tizzone guarda! Il Campanile di Londra!
Mai vidi nulla di simile. Ricordo che da bambino il nonno mi raccontava che la gente viveva in fondo al mare e passeggiava spensierata per le strade delle città. Mi raccontava anche che in cima alla torre più alta della capitale c’era un grandissimo orologio e che a ogni ora suonava scandendo il tempo per tutto il Regno.

-Guarda! Hai mai visto nulla di simile Tizzone?
Eccolo lontano all’orizzonte. Illuminato da decine di fuochi galleggianti in mare. Il nonno mi diceva sempre che era una torre altissima…ma a vederla non mi sembra così grande… il quadrante spunta a malapena dal mare.
-è fantastico non credi?
-…ehm…si…e poi io l’ho visto un sacco di volte sai? Dico davvero…
-Che bello…io ci vorrei tanto entrare…
-…ecco…io ci sono entrato un sacco di volte…
-Davvero?!
-…ehm…si…
-E cosa ci tengono dentro? Raccontami!
-…bhe…ci tengono…ehm… un enorme mostro marino!
-Un mostro marino?!
-Si! Lavora dietro il quadrante e aziona tutte le ruote dentate!
-E come ci riesce?
-…ehm…bhe…con i denti! Le ruote dentate si muovono con i denti…ma lui ha delle zanne gigantesche che riescono a muovere gli ingranaggi giganti di quel orologio!
-Mamma mia che paura!
-E da mangiare gli danno uomini!
- Ah!
-Si si. Io stesso gli sono stato offerto in sacrificio! E nonostante le sue zanne acuminate come spade, i suoi artigli affilati come rasoi e la sua pelle resistente come un'armatura, sono riuscito a fuggire!
-Sarà per questa ragione che alle nove della sera il Campanile suona generando onde paurose! Tutti i vascelli ne stanno lontani a quell’ora, sono pericolose sai?
-…onde?…ehm…Si! Sono pericolosissime! Ne sono fuggito a stento!
-Oh! Sei proprio coraggioso!
-E comunque devi sapere che qualunque cosa accada il Sole sorgerà anche domani. Io non ho paura della morte!
-…mmm…il Sole sorgerà anche domani…bella frase…sai che mi sento molto più tranquilla? Grazie!
- Mio nonno mi raccontava sempre tante storie…e di tanto in tanto anche qualche bella frasetta…eh eh eh…
-E poi tu sai un sacco di cose interessanti…mio padre mi fa fare solo cose noiose e inutili…mi fa studiare inglese, francese, latino, greco, violino, pianoforte, matematica, geometria, meccanica a vapore, geologia, scienze del mare, chimica, fisica, zoologia, botanica e medicina…
-…
-Tu invece sei così colto…ma come mai sei qui? Mio padre dice sempre che i tizzoni sono dei criminali che pur di uscire dalle carceri preferiscono lavorare come schiavi nella Flotta di Sua Maestà…ma tu non lo sembri…
-…ehm…io un criminale…ma no! Sono qui solo per un errore burocratico…Suo padre lo sa bene…eh eh eh…ehm…
-Capisco.

Fissando il grande quadrante del campanile, seguitò a parlare.

- …mmm…adesso si è fatto tardi…credo di dover andare…

La serata pareva essersi conclusa serenamente…ma così non fu…
Un rumore familiare e tetro come un urlo nella notte si fece strada nella notte calma.

-Oddio! Mio padre! Se mi vede qui siamo nei guai!!!
-Nei guai?…io sono morto!
-Presto scappa!

Mi girai in fretta e furia scappando verso una porta o un barile qualunque! Ma la fortuna dei marinai non abbraccia un giovane tizzone…

-E tu chi sei?! Che cosa ci fai qui?!

Uno sfiato di vapore…lo scoppio delle valvole e il passo pesante potevano solo farmi rabbrividire in un sol senso…l’Ammiraglio…l’Ammiraglio mi ha visto…

-Guardie! Prendete mia figlia! E riconducetela nella sua cabina!
-Papà no!

La Signorina venne presa di prepotenza da una delle guardie e ricondotta nella sua cabina. Ma prima di essere reclusa fra i cuscini della sua vita, disse parole che mai dimenticherò…

-Tizzone! Il tuo nome! Gridalo alle Stelle! Loro me lo diranno! Non dimenticare le parole del nonno!

Qualunque cosa accada, il Sole sorgerà anche domani…e tutto si risolverà.

Le stelle erano alte e chiare…l’alba ormai si stropicciava gli occhi…e io impotente agli eventi scivolavo placido e rassegnato attorno all’addome caldo della Regina a Vapore. Tanto il Sole sorgerà anche domani…e tutto si risolverà.

La luce si avvicina penetrando il dolore attraverso gli occhi…mi sento debole…l’urto è stato tremendo…è vero quando si dice che la mano dell’Ammiraglio non perdona…

-Alzati pappamolle! Sei già fortunato a essere sopravvissuto, ti risparmiai già una volta in passato e adesso alla seconda non sei morto…vediamo cosa succederà la terza volta. Dottore, Ingegnere, venite qui!
-Comandi…ehm…Signor Ammiraglio.
-Credo di aver trovato il nostro volontario. Preparate il necessario per l’immersione.

Il sole continua ad arrampicarsi in un cielo che pare non lo voglia nemmeno vedere.
e assi del ponte sono ruvide e ispide come le sofferenze di noi tizzoni.

-…mmm…ho sete…
-Tranquillo ragazzo, vuoi dell’acqua? Adesso ne avrai quanta ne vuoi. Ora alzati!

A stento riesco ad aprire gli occhi…a stento riesco ad alzarmi…ma la vista dell’Ammiraglio…come dire…ha risvegliato il grillo che è in me! In piedi ai margini del ponte, guardo le onde infrangersi lungo la chiglia del vaporetto.

-Adesso resterai buono lì mentre il Dottore ti spiegherà il da farsi, sono stato abbastanza chiaro?
-…si…Signor Ammiraglio…
-Bene. Prego Dottore parli pure.

La solita figura secca e rancida, lenta e barcollante si mosse placidamente in direzione del volontario. Il solito serissimo gessato scuro, pantaloni in cotone neri e giacca nera a collo alto, delle scarpe di vernice nera tirate stavolta a lucido per la sola ed effimera bellezza…e a dire il vero a lui donava molto poco. Stavolta la bocca era libera da qualsiasi sipario, mettendo in scena davanti al mondo quel terribile spettacolo dei suoi denti ingialliti, usurati e distanti fra loro…e questo dovrebbe essere il custode della salute? Ogni sua occhiata era seguita da uno schizzo di vapore e da piccoli rumori d’ingranaggi fastidiosi come le pulci giù di sotto.

-Bene…adesso ti spiegherò i tuoi doveri…eh eh eh…sai cosa vuol dire “doveri”, piccolo ignorante?

Non devo nemmeno aprire bocca, l’Ammiraglio mi ha ordinato di non farlo…ma non ha minimamente accennato agli sguardi, me ne basta uno breve e istantaneo, fulmineo e glaciale…

-…mmm…smettila di fissarmi!…stupido impudente…mmm…

L’Ammiraglio sorrise…

-…dicevo…dovrai scendere in fondo alle acque…ehm…alle acque dei cieli di Londra e recuperare una piccola alga che si trova nel letto di quello che era il Tamigi…
-…ma come faccio? Come posso sapere dove si trova?
-Non è difficile vedrai…ehm…nemmeno per uno come te lo sarà…eh eh eh…ehm…dovrai seguire il letto del fiume verso monte. Strada facendo incontrerai alla tua sinistra…ehm…sai qual è la sinistra? Comunque…vedrai una piccola grotta. Lì troverai l’alga…ehm…è verde e blu non ti puoi sbagliare…prendila e portacela…ehm…hai capito? Domande?
-…no Dottore…
-…ehm…bene.

Adesso che ne sarà di me? Dovrò scendere in fondo alle acque dei cieli di Londra…ci sono stato solo nei miei sogni e nei racconti del nonno…ho paura…ma per la Signorina B…lo farò…
Fischi ed esalate di vapore preannunciano l’inizio della missione. Il sole scende arreso e assonnato in fondo alle acque, mentre io vengo sollevato da una gru a vapore. Le trenta ciminiere della Regina a Vapore hanno smesso di respirare…non era mai successo prima…solo ora mi rendo conto di quanto seria sia la malattia della Signorina.

-Sollevate lo scafandro!
-Calate il tizzone!

Ansiosamente l’esoscheletro inizia ad abbracciarmi…mi vedo scomparire all’interno. Decine di tubi e valvole compongono la corazza che mi difenderà dalle acque. Ecco sono dentro…

-Calate l’elmo!
-Bloccate le guarnizioni! Regolate le valvole di ritegno!
-Assicurate la trachea e fissate il cannocchiale!

Bene. È fatta. Il sole si è tuffato da tempo ormai e ora io lo seguirò…ma so che non mi illuminerà il cammino. Stringo il fazzoletto blu…blu come il cielo…come il mare…come i suoi occhi.

-Bene ragazzo, adesso verrai calato sul fondo. La luce che ti permetterà di vedere sarà generata da una fiamma qui sul ponte della Queen Elisabeth, un sistema di lenti e specchi passante per un tubo detto cannocchiale trasporterà la luce fin al tuo casco, mentre l’aria verrà erogata da delle pompe a vapore e arriverà giù per questo tubo che si chiama trachea. Non ti preoccupare di nulla cerca solo l’alga e torna sano e salvo. Quando la troverai tira la leva qui alla destra del tuo casco, invierai in tal modo un getto di vapore e ci avviserai di tirarti su. Tutto chiaro ragazzo? 
-…si signor Ingegnere…
-Bene…mi raccomando cerca di tornare sano e salvo…e fai in fretta…Come dice sempre tuo nonno? Qualunque cosa accada il Sole sorgerà anche domani?
-…e tutto si risolverà…va bene…
-Stai tranquillo…

Persona gentile l’Ingegnere. Di tanto in tanto mi dava dei lavoretti da fare in cambio di cibo. Diceva sempre che ero un bravo ragazzo. Chissà se lo rivedrò…

L’Ammiraglio, seguito dai suoi chiassosi ingranaggi a vapore e dalla sua fida ombra in gessato scuro, si avvicina…cosa vorrà ancora…sento il suo fiato respirare sul collo…il suo bersaglio è l’orecchio e sottovoce prese a sentenziare…

-Ascoltami tizzone. Se per caso non trovi l’alga è bene che te ne rimanga sul fondo…sono stato chiaro?
-…si…Signor Ammiraglio…
-Bene, ne sono lieto. Adesso fissate l’elmo e buttatelo in mare! A proposito…
-…si…mi dica…
-Caro tizzone, cerca di non “spegnerti”…Ah Ah Ah!!!
-…si…si Signore…agli ordini…

Così dicendo per tutti si chiusero le porte della mia vita, ma per me si aprì un mondo nuovo e strano.

La discesa è lenta e calma, illuminata dal mio faro e disturbata solo dai getti di vapore fuoriuscenti da i vari tubi e tubicini che dalla mia schiena si dipartono.
L’acqua è torbida.
La luce scava faticosamente nell’acqua per arrestarsi a qualche piede da me. Il fondo non si vede e la luce è poca. I pochi pesci presenti si addossano al mio faretto, costringendomi a cacciarli.
La discesa prosegue.

L’acqua si schiarisce e si comincia ad intravedere qualcosa. L’acqua non è più torbida! Non ci posso credere! Eccola! Eccola!

Un enorme bellissimo palazzo si staglia dai fondali! La città! La città!
Si può vedere lontano! Vedo un enorme costruzione, sembra un…come si chiama…un ponte! Di sicuro sotto ci sarà il letto del fiume Tamigi…poco distante i piedi del campanile!

Toccai delicatamente il fondo e sollevando nuvole di polvere che poco dopo decantarono, iniziai la mia ricerca.
Tutto è nuovo! Ci sono grandi costruzioni quadrate con tanti portelloni quadrati e cabine gigantesche! Ai lati vi sono decine di strani tubi metallici con delle candele sulla sommità. Ci sono cose che non conosco…mi sento come un bambino! Ci sono delle scatole di metallo con sotto quattro strane carrucole di gomma. O mamma mia!
Ma solo i pesci abitano queste mura…i pesci e le alghe…si! Le alghe, non devo distrarmi…

Ecco. Questo dev’essere di sicuro il letto del Tamigi…un deserto che in passato doveva essere pieno di imbarcazioni, di sicuro non grandi come la Regina a Vapore.
Vedo delle scale. Bene…

La trachea sembra resistere nonostante la Regina a Vapore non la si veda ormai da tempo. Solo le stelle sembrano arrivare a me, blu e brillanti come gli occhi della Signorina…il suo fazzoletto è l’unica cosa che ho di lei…nemmeno il nome…

Dove mi trovo? Ho camminato parecchio immerso nei ricordi…

Eccola! Una grotta! A sinistra! La luce sembra penetrarla. Cauto ma inesorabile affronto l’oscurità. La grotta non è affatto profonda. Dopo pochi passi raggiungo la fine…ma dov’è l’alga!? Non la trovo!
Frenetico nella ricerca mi accorsi che dietro un sasso riluceva un bagliore.
Eccola! Un’alga verde di blu macchiata. Colori meravigliosi, brillano come tenere fluorescenze piene di speranza. Bene posso avvolgerla nel fazzoletto, così sarà al sicuro! E ora non c’è tempo da perdere! Presto Fuori di qui!
Non ci posso credere! Ci sono riuscito la Signorina è salva! Vedremo sorgere il Sole insieme!

Bene. Eccomi qui. L’Ingegnere mi ha mi ha detto di tirare la leva…
Con un gran botto assordante e un fischio tagliente una bianca nuvola cominciò a scalare fino alla superficie, per poi lentamente scomparire.
Passarono i minuti, poi uno strattone comincio a tirarmi verso l’alto. È fatta la Signorina è salva! Io sono salvo! Addio Londra…magari un giorno ci rivedremo…

Un rumore sordo e profondo echeggiò dalla superficie.
Sono rintocchi…il campanile sta suonando…suona! Decine di strattoni e colpi presero a martellarmi addosso! Oddio no! Acqua! L’acqua entra dalle guarnizioni! No!
Il vapore iniziò a evadere dallo scafandro contribuendo alla tragedia! Decine, centinaia di strattoni! Le onde stanno assalendo la Regina a Vapore! Resisti ti prego!!
Altri strattoni, ancora botti…poi più nulla…nessuno strattone e nessuna luce…nonostante il campanile non cessi i suoi rintocchi io rimango sospeso nelle tenebre.

Non pensavo di possedere tanta calma. Cado verso il fondo. L’oscurità è fitta e la trachea si è ormai spezzata. Tratterò il fiato per quanto potrò. Il peso mi trascina verso il fondo. Non ho salvato la Signorina e ho fallito! Stringo il fazzoletto…
Però posso ancora dirle il mio nome! Lo griderò alle stelle e il mio nome la salverà. Pochi secondi ancora. L’alga avvolta nell’unico dono a me fatto da un’amica…da un amore…la raggiungerà! Le stelle mi ascoltano.

Accosto il fazzoletto alle mie labbra e spirando griderò il mio nome…

-Daniel…

Vidi risalire lenta la mia voce, carica di amore e del dono nel fazzoletto custodito. Li vidi scomparire verso il cielo stellato. Vi prego stelle ditele il mio nome. Vi prego stelle ditele che l’amo.
È buffo, io sono un tizzone e proprio l’Ammiraglio disse di non spegnermi.
Il fondo. Bene sono sul fondo. Ora potrò stare qui per sempre.
Le stelle si stanno spegnendo una dopo l’altra, ma io mi sento sereno…so che qualcuno vedrà l’alba.

…ti amo Signorina B…addio…

Qualunque cosa accada, il Sole sorgerà anche domani e tutto si risolverà. Così diceva il nonno.
Aveva ragione.
Tutto si è risolto.


Fine