domenica 19 settembre 2010

Le fate della pietra

Soffia vento soffia. Corri tra le valli e le montagne, non fermarti. Di noi porta il soffio di un tempo lontano, lontano quanto la pietra e il sonno del tempo, di un tempo che ormai non ricorda più chi siamo. Eravamo là con loro quando tutto accadde, quando la pioggia solcò i loro visi. Non aspettare oltre amico nostro, il tempo non può attendere, noi non possiamo attendere. Devi raccontare il tempo con le parole che nel tempo hai saputo ritrovare, per aiutare la memoria a ricordare. Soffia vento soffia.
- Mai! - disse la nonna - Mai dovete avvicinarvi alle pietre che vi guardano!
- Ma perché nonna? - chiesero incuriositi i nipoti - sono solo buchi nella montagna…
- No! Dietro quei buchi si nascondono delle creature malvagie!
- Malvagie?! - ripeterono con curioso spavento i bambini.
- Si! - tuonò l’anziana donna - sono vecchie, molto più di me!
- Ma questo è impossibile!!! - dissero i bambini sogghignanti.
- E invece si! Sono vecchie e brutte! Dovete sapere che la notte, vicino alle montagne dove vostro padre porta al pascolo il gregge, si sentono gridare e lamentare! Alcuni sostengono di averle sentite anche di giorno!
I bambini spaventati si strinsero fra loro.
-         Passano tutto il tempo a gridare e gridare! Con le loro lunghe unghie graffiano le pareti delle loro case! Aspettando solo che un bambino si avvicini per mangiargli l’anima!
I bambini ammutoliti avevano gli occhi rischiarati dalle prime lacrime.
-         E voi sapete di chi è la vostra anima vero? E’ di nostro Signore Gesù Cristo e voi dovete proteggerla.
Gavino, il più piccolo dei due, singhiozzando cominciò a piangere.
-         Mamma! -  gridò il piccolo - Mamma!
La madre si asciugò le mani sul grembiule di tela, sfilò il fazzoletto dalla manica, lo porse al figlio e si rivolse alla madre.
-          Ma mamma! Ti sembrano storie da raccontare ai bambini prima che vadano a letto? Povere creature spaventarle in questo modo!
-         Io non spavento nessuno! Voglio solo metterli in guardia, è bene che crescano consci di ciò che può accadere.
Gavino in lacrime guardò la madre e chiese:
-         Sono vere le storie che racconta la nonna?
-         Ma no figlio mio… - sospirò - no figlio mio la nonna scherzava, vero mamma?! - domandava con sguardo minaccioso.
-         Ha ragione la mamma Gavino, stavo solo scherzando, è come dice la mamma, tutte storie… nient’altro che storie…
In quel momento dal cortile il cane cominciò ad abbaiare. Bacchisio, il primo dei due bambini, corse alla porta.
-         Babbo babbo! Babbo è tornato!
L’uomo aprì le braccia e ne accolse il figlio. Stanco dai mesi al pascolo, il genitore si fece scortare dal piccolo Bacchisio in casa.
-         Ilune! Sono a casa! - diceva alla moglie.
-         Antioco, sei a casa finalmente!
Gavino, liberatosi dal consolante abbraccio della madre, saltò in quello  del padre, felice come solo un figlio alla vista del padre può essere.
Antioco baciò la moglie e con sguardo riconoscente salutò la suocera che, con un sorriso, contraccambiò.
Antioco era un uomo buono, dedito alla famiglia e al lavoro come pochi altri.
-         Antioco, ti ho preparato il bagno.
-         Sei un tesoro moglie mia! - così dicendo l’abbracciò e la sollevò in aria, suscitando lo stupore dei figli e le risa della suocera.
-         Babbo! Sei forte!
-         Ma no Bacchisio - diceva ridendo - è la mamma leggerissima.
Il bagno e la cena trascosero tranquillamente tra risa e storie.
-         Beh, adesso il babbo va a riposarsi a letto… uno vero, mica finto come quelli in montagna sapete - rise.
Ilune con un’occhiata comunicò qualcosa alla madre, la quale pronta disse:
-         Bene nipotini miei, è ora di andare a letto.
-         Ma nonna Serena! Io voglio stare ad ascoltare le storie del babbo!
-         Bacchisio, è tardi! Domani il babbo deve svegliarsi presto lo sai, e poi guarda tuo fratello - il quale dormiva profondamente in braccio alla nonna.
-         Ma non voglio…
-         Ubbidisci alla nonna - disse Ilune.
-         Facciamo un gioco stanotte, va bene? - disse Serena - Stanotte dormirete nel lettone con la nonna, va bene?
Bacchisio rimase a bocca aperta mentre Gavino, il fratellino, si svegliò di soprassalto incredulo.
-         Dici davvero nonna?!
-         Certo piccoli miei - sorrise.
A quel sorriso i due bimbi corsero nella camera della nonna a saltare sul lettone.
-         Povero il mio letto… - sospirò l’anziana donna.
Con riconoscenza Antioco e Ilune augurarono la buona notte e lasciarono la stanza da pranzo per la camera da letto, chiudendo a chiave la porta alle loro spalle.
Dopo diversi tentativi Serena riuscì a far terminare la nottata di festa dei bambini, che stremati, accompagnarono la nonna in un sonno profondo.
Il gallo la mattina non cantò.
-         Bacchisio… Bacchisio sveglia…
-         … mmm… si… chi è?...
-         Sono io, babbo.
-         Si babbo… dimmi… - rispondeva il figlio assonnato.
-         Volevo sapere se ti andrebbe di portare al pascolo qualcuna delle pecore di babbo.
Il piccolo Bacchisio sgranò gli occhi, convinto ancora di star sognando…
-         … ma babbo… dici davvero?
-         Certo figlio mio - disse sorridendo - oramai sei grande, hai già otto anni ed è bene che cominci a capire come ci si comporta con le pecore e poi la mamma è d’accordo.
Il piccolo Bacchisio, incredulo di tanta fiducia, si gettò fuori dal letto e, come un militare al suono della tromba, fu pronto per la missione.
Corse immediatamente verso la camera da pranzo, dove la mamma e la nonna  avevano già preparato la colazione per Bacchisio, il nuovo pastore del paese. Si versò il latte nella sua ciottola di legno, ma questa volta per la prima volta, lo fece da solo, con grande stupore delle donne di casa.
-         Bacchisio - domandava la nonna - vedo che oggi sei diventato grande, giusto?
-         Si nonna! - disse trionfante il bambino.
-         Quindi possiamo già considerarti un ometto, esatto?
-         Certo nonna!
-         Allora potresti andare al pascolo insieme con tuo fratello, giusto? - disse la madre senza allontanare lo sguardo dal lavabo.
-         Cosa? Ma mamma! - piagnucolava l’ometto di casa.
-         Se vuoi andare al pascolo porta anche tuo fratello, punto - concluse Ilune.
-         Ma Nonna! - disse rivolgendo lo sguardo alla nonna.
-         Hai sentito cosa ha detto tua madre? - disse Serena.
-         Ma babbo! - disse rivolgendo lo sguardo al padre.
-         Figlio mio, fai quello che dice tua madre su…
Sbuffando come una caffettiera andò a svegliare il fratello.
I due bambini si prepararono, presero il pranzo e a capo del loro piccolo gregge si incamminarono verso il pascolo.
Ilune pensierosa si rivolse ad Antioco:
-         Avremo fatto bene a lasciarli andare?
-         Ma si cara, Bacchisio è un ragazzo responsabile, vedrai andrà tutto bene, e poi sanno tutto quello che devono sapere perché tutto vada come deve andare.
La nonna preoccupata aggiunse:
-         Le montagne piccoli miei… le montagne…
Così dicendo li vide scomparire lontano.
Il cielo era poco sereno quel giorno, non si sentiva cinguettare e tanto meno le pecore belare. Solo il vento continuava a soffiare, trasportando con se nuvole pesanti da luoghi lontani. Ma questo non poteva fermare il piccolo nuovo pastore del paese.
Spiga in bocca e sguardo da condottiero, Bacchisio, il nuovo pastore del paese, era convinto di portare in salvo quattro dame bianche fra mille pericoli e mosche Maccedda, fino a quando, a ricordagli che si trattava di solo quattro pecore, ci pensava il fratellino.
-         Bacchisio aspettami… - gridava il piccolo Gavino che a stento riusciva a seguire il fratello.
-         Muoviti lumaca! - sbottava Bacchisio - dobbiamo muoverci, il tempo sta peggiorando!
-         Ho paura! E poi mi sembra che qualcuno ci stia chiamando! Magari è la mamma!
-         Ma che dici scemo! Siamo lontani ormai, sarà il vento! Ma ti muovi?!
Tra una corsa e una caduta il piccolo Gavino trotterellava fino a raggiungere il fratello, che però gli impediva di farsi prendere per mano. Le nuvole avanzavano cupe e pesanti all’orizzonte. Il vento sollevava le foglie cadute dei pochi alberi della campagna, fino a quando una dopo l’altra le gocce cominciarono a cadere.
-         Bacchisio piove!
-         Certo piccolo stupido! Hai visto il cielo? Dobbiamo ripararci!
I tuoni cominciarono a farsi spazio nella paura del più piccolo.
-         Bacchisio, ho paura!
-         Ma puoi essere scemo? Sono solo dei fulmini! Dobbiamo ripararci. Andiamo sotto quell’albero laggiù.
-         Bacchisio no! Il babbo dice sempre che dobbiamo star lontani dagli alberi quando piove, dice che potrebbe colpirci un fulmine.
-         Ma quanto sei piagnucoloso. Allora ripariamoci là, vicino a quelle rocce - disse indicando la montagna.
Le pecore si erano già riparate all’interno di alcuni folti cespugli, come se fossero consce dell’inesperienza dei due fratelli.
I due si avvicinarono alle rocce della montagna. Fradici come stracci si ripararono sotto alcune sporgenze della roccia. Il vento era forte e la roccia era mangiata dal tempo, rovinata e umida, solo il soffio tra le foglie e la pioggia battente scandivano il passare delle ore.
-         Bacchisio… cosa sono quelle finestre? - domandò con voce tremula Gavino.
-         Ma Gavino! Non ti ricordi? Sono le case delle creature vecchie e malvagie che mangiano le anime dei bambini!!!
A queste parole Bacchisio urlò di paura.
-         Sei cattivo! - disse fra le lacrime.
-         E tu sei un fifone!
Il vento s’intensificava e la pioggia, accompagnata da qualche tuono, cadeva incessante.
-         Bacchisio…
-         Cosa vuoi ancora?!
-         Non hai sentito niente?
-         No scemo… ti ho già detto che non sento niente! Solo la pioggia, i tuoni e il belare delle pecore… ma… non belano più le pecore?
Le pecore non belavano più, erano lì fra i cespugli zitte e immobili come pietre.
-         Bacchisio… torniamo a casa…
-         Ma sei scemo mi! Non voglio tornare a casa! Cosa penserà babbo poi? Sei solo un fifone piagnucolone!
-         Non sono un fifone!
-         A no?
-         No!
-         Allora entra in una di quei buchi quadrati nella pietra!
-         Ma Bacchisio…
-         Fifone fifone fifone!
Gavino guardò il fratello come se avesse la paura scritta sulla fronte. Il piccolo Gavino sgranò gli occhi e si girò di scatto, in direzione di una roccia e domandò al fratello:
-         Bacchisio hai sentito adesso?!
-         Ma smettila! E’ solo il vento! E adesso entra in uno di quei buchi! Fifone!
-         Non sono fifone… ma io non voglio entrare! La nonna ha detto di non avvicinarci mai! Non è possibile che non senti! Qualcuno sta urlando!
-         Io non sento niente scemo! - dicendo questo afferrò il fratello per un braccio e lo spinse all’interno di uno dei pertugi, facendolo cadere.
-         Ahi! Sei scemo Bacchisio!?
-         Fifione! Come si sta là in fondo?
-         Fammi uscire! Qui è tutto buio! E stanno urlando! Urlano! Ti prego Bacchisio aiutami! - nel mentre si portò le mani alle orecchie, quasi volesse evitare di sentire ciò che per Bacchisio era silenzio.
Bacchisio rise del fratello, fino a che non si accorse della fuga di una delle pecore.
-         Gavino aspettami qui torno subito!
-         Bacchisio no! Non lasciarmi qui! No! - gridò senza convincerlo.
Correva il piccolo Bacchisio incurante dei sassi e della pioggia insistente, cercando di raggiungere l’animale che il padre gli aveva affidato. Era veloce la pecora, ma anche Bacchisio lo era e pochi passi separavano i due. L’animale brucava sereno e Bacchisio, imitando il gatto di casa, si acquattò tentando l’aguato. Contava sottovoce:
-         … tre… due… uno…
Il vento, per qualche istante, si levò trasportando foglie e pioggia. Bacchisio, liberandosi il viso bagnato dalle foglie si guardò intorno, notando sull’erba la pecora distesa. Bacchisio si avvicinò e la controllò, era morta. Il piccolo si voltò improvvisamente e gridò:
-         Chi è?! Chi mi sta chiamando?!
Si guardava attorno senza individuare nessuno.
-         Gavino sei tu? Odio questi scherzi! Lo sai! Se la pianti vengo a tirarti fuori, va bene? - così dicendo si recò alle rocce della montagna.
La pioggia non cessava la sua caduta, raggiunse il buco nella roccia dove aveva spinto per gioco il fratello.
-         Gavino? Ci sei?
Solo l’eco rispondeva a quelle domande.
-         Gavino! - urlò agitato il piccolo Bacchisio - Ti ho detto di smettere con questo scherzo! Lo dico alla mamma! Anzi alla nonna! No! Al babbo! Gavino… ti prego… lo sai che ti voglio bene… adesso mi stai facendo paura…vieni fuori!
Ma nulla. Bacchisio alzò di colpo la testa e disse:
-         Chi sta urlando! Smettetela di urlare! - così dicendo si tappò le orecchie - Gavino sei qui?
L’apertura era buia e profonda. Lentamente e con un terrore assoluto, infilò la testa nell’apertura dove Gavino era rinchiuso. Un fulmine illuminò per alcuni istanti lo spazio. In un angolo, lontano dall’apertura intravide una sagoma. Altri fulmini, altri lampi si susseguirono a poca distanza l’uno dall’altro, illuminando la camera. Doveva essere Gavino!
-         Gavino presto vieni ti tiro fuori!
Gavino non rispose.
-         Ma Gavino che fai? Presto! Dobbiamo tornare! Sta piovendo troppo! Ma Gavino… che fai?...
La sagoma fissava a capo chino la parete mentre con una mano grattava la pietra.
-         Gavino smettila! - Bacchisio si strinse le mani alle orecchie - Basta urla! Basta!!!
In quel momento Gavino smise di grattare la parete e cadde al suolo.
-         Gavino! - urlò Bacchisio - No! Non voglio venire con voi! Non voglio!
Spaventato si tirò indietro. Un dolore lancinante gli stringeva il petto.
Bacchisio corse, corse con quanto fiato avesse in corpo, corse verso casa. Gridava il piccolo pastore, fino a mancargli il fiato.
La porta di casa si aprì, mostrando il volto della nonna.
-         Nonna! Nonna!
L’anziana donna corse sotto la pioggia in contro al nipote.
-         Bacchisio! Cos’è successo! Stai sanguinando! Cosa sono questi tagli che hai sul petto?
Solo in quel momento Bacchisio si accorse dei tagli che aveva sul petto, cinque erano, come le unghie di una mano. La nonna afferrò il bambino per le spalle, scuotendolo.
-         Non siete andati verso la montagna vero Bacchisio? Rispondimi!
Con le mani ancora a coprire le orecchie ascoltava impietrito.
-         Dov’è tuo fratello!? Bacchisio rispondimi! Dov’è tuo fratello!? - insisteva la donna - Non l’hai abbandonato in uno di quei buchi sulla montagna?!
Solo una parola pronunciò:
-         … si…
La donna lasciò il bambino, incredula per quell’unica parola. Fissò il nipote come se non fosse più tale e Bacchisio arretrò, spaventato da uno sguardo non più familiare e corse, corse lontano. L’anziana donna, non più nonna, non lo fermò e lo vide sparire   per non vederlo più tornare. La pioggia cadeva triste sul volto dell’anziana nonna, sola fra le piante del cortile. Corse lontano il piccolo Bacchisio e solo il vento l’accompagnava accanto.
Soffia vento soffia. Fummo con loro in quei momenti, sempre. Hai permesso al tempo di ritrovare la memoria persa. Grazie amico nostro, grazie a te ora esistiamo di nuovo.

Fine 

1 commento:

  1. L'ho scritto d'istinto, per cui non ci ho lavorato motlo (e si vede...), solo un venerdì e una domenica, forse rileggendolo modificherò qualcosa, non so. Era un'idea che mi frullava nella testa da almeno un anno e alla fine mi sono deciso :)
    Non so se sono riuscito a rendere l'effetto che speravo, ditemi voi ciò che provate :)

    Ciao!

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